Oltre la frontiera del drago
I quattro grandi romanzi della letteratura classica cinese sono considerati dagli studiosi come i più importanti e influenti all’interno della tradizione letteraria non solo cinese ma anche dell'Asia Orientale.
Non è esagerato affermare che abbiano plasmato in modo profondo non solo l’immaginario letterario, ma l’intera creatività culturale dell’Asia. Dai loro personaggi e vicende sono nati film, manga, cartoni animati, telefilm e giochi, partendo dalla Cina, il Celeste Impero, e arrivando a diverse parti dell’Asia orientale, Giappone incluso.
1. Il romanzo dei Tre Regni (Sangokushi)
Forse l’epopea più celebre. Nel corso dei decenni è stato adattato in numerosi film, telefilm e, soprattutto, in un famoso manga. In Giappone, nel 1978, questo romanzo venne trasformato in una serie manga a cura di Yokoyama Mitsuteru (autore di Sally la maga, Super Robot 28, Giant Robot e Babil Junior), che si basa sulla rivisitazione fatta da Yoshikawa Eiji, noto per il romanzo Musashi su Musashi Miyamoto. A maggio 2020, il manga aveva superato gli ottanta milioni di copie vendute, diventando una delle serie più popolari di sempre.
2. Viaggio a Occidente (Saiyuki)
Racconta le avventure del dispettoso scimmiotto Son Goku, narrate e reinventate in infinite versioni. Tra le serie animate più famose tratte da Saiyuki ricordo The Monkey e Starzinger, senza dimenticare che è stata una forte fonte d’ispirazione per Toriyama Akira nella creazione di Dragon Ball.
3. Il sogno della camera rossa (Koromu)
Di cui ammetto di sapere poco, a parte il fatto che ne è stato tratto un film qualche anno fa.
4. In riva all’acqua (Suikoden)
Un romanzo che narra l’epopea avventurosa di una banda di briganti dal cuore d’oro: impavidi combattenti, maestri nell’arte della guerra, sempre pronti a proteggere gli indifesi dai funzionari corrotti e dagli aristocratici subdoli della Cina di mille anni fa.
La mia esperienza con Suikoden (La frontiera del drago)
Qualche tempo fa, incuriosito, entrai in un Book-Off e sfogliai il primo dei otto albi del manga Suikoden di Yokoyama Mitsuteru, pubblicato nel lontano 1967. Lo trovai interessante e movimentato, ma anche piuttosto ostico: pieno di ideogrammi complessi, balloon infiniti, discorsi serrati e una miriade di nomi cinesi difficili da ricordare. Decisi quindi di lasciar perdere e non comprai il secondo volume. Non era il mio genere, e ero convinto che non sarei mai riuscito a finirlo.
IN ITALIA
Suikoden è conosciuto soprattutto come il telefilm intitolato La frontiera del drago.
In Italia andò in onda all’inizio degli anni '80 sulla prima rete RAI, e poi, credo, venne ritrasmesso anche da Telemontecarlo. La prima a trasmetterlo in Europa fu però la BBC, che lo propose in Inghilterra già nel 1976, quattro anni prima rispetto all’Italia, dove arrivò nel 1980.
Ricordo che andava in onda subito prima di Mazinga Z e io ero solito guardarmi il finale di ogni puntata nell’attesa dell’episodio del robot di Nagai. Era sicuramente il 1981, e probabilmente quella trasmissione era una replica. Circolava anche un album di figurine dedicato alla serie, ma visto che già spendevo un sacco di soldi per quelli di robot e calciatori, non me la sentii di iniziarne un altro. Il fatto che abbia avuto un album Panini lascia immaginare che la serie abbia riscosso un discreto successo in Italia.
IN GIAPPONE
Nel 1973, Nippon Television produsse una serie di 26 puntate di 50 minuti ciascuna con Nakamura Atsuo nel ruolo di Lin Chong (Rin Chu in giapponese), il personaggio che nella serie divenne centrale, anche se nel romanzo originale non lo era. Tsuchida Sanae interpretò l’impavida Hu Sanniang (Terza Sorella Hu), mentre Sato Kei fu il malvagio Gao Qiu (Kao Kyu in giapponese).
La frontiera del drago, così fu tradotto il titolo per l’Italia, nacque come programma commemorativo per il ventesimo anniversario di Nippon Television. Fu la prima trasposizione televisiva di un capolavoro della letteratura classica cinese, che neanche il cinema era riuscito a realizzare con successo fino ad allora.
Le riprese esterne furono fatte in Cina, allora ancora molto chiusa agli stranieri, e pare sia stato il primo progetto televisivo di coproduzione con un paese non comunista (e tra l’altro, con il rivale Giappone!).
Analogie tra manga e telefilm
Il telefilm La frontiera del drago si basò non direttamente sull'opera cinese originale, bensì sul manga di Yokoyama, che fu un adattamento a fumetti del classico ma con diverse modifiche funzionali a renderlo più accessibile e adatto al giovane pubblico shonen, composto soprattutto da ragazzini.
Il manga, pubblicato in otto volumi tra il 1969 e il 1971, mantenne in gran parte la trama originale ma fu "compattato" senza risparmiare omissioni e variazioni significative, in pratica è a sua volta una versione "addolcita" e semplificata del romanzo storico cinese. In particolare, Yokoyama dovette eliminare o attenuare elementi forti come massacri, avvelenamenti, crudeltà e sesso, presenti invece nel romanzo classico cinese, per rispettare la sensibilità dei lettori più giovani e delle riviste su cui veniva pubblicato.
Errori
Purtroppo, forse a causa della scarsa disponibilità di ricerche e approfondimenti, gli sceneggiatori dell’epoca commisero alcuni errori fastidiosi che infastidirono i fan di Suikoden. Per i puristi giapponesi dell’opera, il telefilm partiva già con il piede sbagliato. Tuttavia, agli occhi del grande pubblico, queste imperfezioni non compromettevano la storia, e lo sceneggiato ottenne un enorme successo in patria.
D’altro canto, a causa di un cast troppo ampio, molti personaggi apparivano solo una volta per poi essere dimenticati. Del resto, rappresentare tutti gli eroi richiedeva un numero elevato di personaggi. Il cast allargato accompagnava una trama molto complessa. Costumi, armi e oggetti di scena furono creati ex novo per quest’opera unica, inclusa la costruzione in Giappone di un grande set che ricreava una città cinese. Fu un kolossal senza precedenti nel panorama televisivo nipponico dell’epoca.
Il romanzo originale racconta le gesta di 108 eroi, che erano in origine generali demoniaci banditi da una divinità suprema. Dopo essersi pentiti durante l’esilio, si trasformano in meteore che, liberate dalla prigionia, rinascono nel mondo come 108 eroi uniti dalla causa della giustizia. Gran parte della storia descrive le loro vite e il modo in cui si radunarono sul Monte Liang per ribellarsi contro le forze maligne che controllavano la corte della dinastia Song.
In quel periodo, la Cina era afflitta da peste e corruzione politica; la popolazione soffriva per tasse insostenibili e lavori estenuanti. Nel telefilm La frontiera del drago, i protagonisti sono alcuni di questi fuorilegge che si ribellano a un sistema marcio, mossi da un principio di leale cavalleria. Agiscono con buon cuore per aiutare i deboli, in nome della giustizia celeste (non certo di quella terrena: erano briganti e spesso si concedevano anche parecchi momenti di baldoria).
Tra gli errori principali c’è la trama semplificata e i nomi cambiati, a partire dal protagonista Lin Chong, detto Testa di Leopardo, che in giapponese divenne Rin Chu. Inoltre, gli fu attribuito il ruolo di capo del gruppo, mentre nel romanzo non è propriamente il personaggio principale. Altri cambiamenti riguardarono Hu Sanniang, indomita eroina e sorella della moglie suicida del protagonista: se nel romanzo appare solo a metà storia, nello sceneggiato fu presentata fin dall’inizio per dare maggiore spazio a Tsuchida Sanae, l’attrice principale.
Combattimenti e stile
Nel telefilm non mancano combattimenti dinamici con la spada, tipici delle arti marziali cinesi, accompagnati da una drammaticità in stile orientale che non disdegna tattiche bizzarre. Gli eroi si distinguono per un’incredibile autodisciplina, quasi fiabesca, che permette loro di mozzare arti e teste con un solo colpo, compiere salti di metri e duellare per giorni interi.
Quando Rin Chu affronta il bendato Yo Shi, guerriero prode e sbruffone fedele all’imperatore, i due incrociano le spade e restano immobili a studiarsi. Nel manga rimangono così per un paio di giorni, aspettando il momento fatale di distrazione, senza spostarsi neppure di un millimetro. Né l’uno batte ciglio quando un ragazzino tra il pubblico gli lancia una pietra, né l’altro ne approfitta per colpirlo vigliaccamente.
La trama è a tratti spietata, come richiedevano molti copioni degli anni Settanta. Shoran, la sposa dell’esiliato Rin Chu, non riesce a sfuggire alle brame del corrotto Kao Kyu, come invece ci si aspetterebbe da una storia a lieto fine, e finisce per suicidarsi dalla vergogna.
La frontiera del drago, oltre ai costumi sontuosi e ai paesaggi raffinati, si avvale anche di un narratore fuori campo che colora ogni puntata con frasi mistiche del tipo “così disse Confucio”. I guerrieri che si incrociano nel corso della serie nutrono un rispetto reciproco. Pur combattendo in modo pittoresco, sono uniti dal comune odio verso i malvagi.





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